L’evoluzione in agricoltura
In tutto il mondo, l’agricoltura è sempre stata tradizionale, locale, in armonia col clima e con la terra ma, da sola, si è dimostrata insufficiente a ridurre la fame nel mondo.
Dai primi anni del ’900, per risolvere o almeno tentare di risolvere questa grave situazione e ottenere raccolti abbondanti, nel mondo occidentale, sicuramente più ricco di mezzi, sono state coinvolte le industrie con l’obiettivo di ricercare tecnologie che potessero dare nuovi impulsi in campo agricolo.
La Rivoluzione Verde
A rimuovere l’impasse nel settore e a dare vita ai prodromi della Rivoluzione Verde, su scala italiana nella prima decade del 1900 è Nazareno Strampelli, agronomo e genetista che, presso la Stazione Sperimentale di Granicoltura di Rieti, focalizzò le sue ricerche sulle selezioni di frumenti che fossero più produttivi e ne approfondì in modo più capillare la sperimentazione.
A due anni dalla morte di questo scienziato, agli sgoccioli del secondo conflitto mondiale, nel settembre del 1944, prende l’avvio negli Stati Uniti la Rivoluzione Verde, vera e propria ad opera del suo “deus ex machina” Norman Ernest Borlaug, quella conosciuta in tutto il mondo come la Green Revolution. Grazie ai risultati perseguiti attraverso il suo programma scientifico e divulgativo, volto a risolvere i problemi mondiali relativi alla carenza alimentare, nel 1970 a Borlaug venne conferito il premio Nobel per la pace.
Lo scienziato, però, nonostante la prestigiosa onorificenza conferitagli per gli ottimi risultati ottenuti contro la fame nel mondo, fu criticato aspramente dagli ecologisti per l’uso ponderoso di fertilizzanti azotati, di antiparassitari e accusato di scarso rispetto per l’ambiente, considerato anche il suo appoggio alle biotecnologie.
Sperimentazione e “chimica”
La sperimentazione diventa quindi un punto cardine; nei laboratori ci si affida alla genetica, si creano ibridi da incroci, che danno vita a piante più vigorose di quelle che sono state utilizzate per il processo di ibridazione.
Per la coltivazione si utilizza una diversa tecnica colturale, basata sull’uso di agenti chimici per la concimazione e la difesa delle piante dalle malattie cui vanno soggette.
Ecologicamente insostenibile e succube delle ragioni di mercato, l’agricoltura industriale spinge il mondo agricolo alla ricerca di nuovi modelli percorribili verso una produzione sostenibile per scongiurare i disastri prodotti e che, in modo esponenziale, produrrà ancora questo “mostro” finanziario-chimico.
La sostenibilità
Negli anni ’80 nasce nell’Europa del Nord il concetto di sostenibilità e a Stoccolma, viene pubblicato nel 1987 il rapporto “Our Common Future” dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo.
In Italia l’agricoltura sostenibile prende piede intorno al 1990 sia pure con fatica e tra mille difficoltà, dove il protagonista assoluto torna a essere il contadino, il produttore agricolo, non più agricoltore, ma agri-cultore, perché ha reagito con un gesto culturale rivoluzionario alle imposizioni dell’agro-industria, creando un rapporto nuovo e diverso tra uomo e natura.
Nel tempo alcune aziende agricole si convertono all’agricoltura biologica o adottano i principi dell’agroecologia, sostenendo in questo modo la biodiversità e proseguono con questo trend, praticando un’agricoltura che sia in grado di opporsi alla distruzione delle risorse del pianeta.
E l’Europa con la PAC come risponde? La Politica Agricola Comune, nata nel 1962 tra i sei paesi fondatori dell’allora Comunità europea per rimettere in piedi il tessuto socio-economico in un paese devastato dal secondo conflitto mondiale, pianifica precise strategie in favore dello sviluppo agricolo, allora voce decisiva dell’economia.
Green Deal e Farm to Fork
Con l’avvento dell’attuale millennio, nuovi e importanti obiettivi sono stati elaborati dalla UE per la PAC a sostegno del “Green Deal” europeo e di “Farm to Fork”, quest’ultimo fondamentale per garantire prodotti agroalimentari buoni, sani e salutari, favorendo filiere etiche che rispettino i principi agro-ecologici, dalla produzione primaria direttamente al consumatore, basata su un’economia moderna ed efficiente, che utilizzi la tecnologia propria dell’agricoltura 4.0, in particolare per la gestione dei dati, la capacità di interpretarli, per migliorare la tracciabilità della filiera.
“Farm to Fork” è il cardine del “Green Deal”, necessario per apportare drastici cambiamenti al settore alimentare, perché è il maggior produttore di gas serra e, nel contempo, indirizzare i consumatori verso un’alimentazione più sana, spingendoli ad acquistare cibi più salutari e di qualità, rendendone accessibile il prezzo a tutti, nell’ottica di una economia più equilibrata, supportata da nuovi tipi businness, che tengano conto della sostenibilità, della biodiversità e della salvaguardia del territorio.
“Farm to Fork” è il traguardo finale da conquistare, perché concentra la summa di tutte le azioni possibili per essere lo snodo che potrà rendere il sistema alimentare dell’UE un esempio mondiale in materia di sostenibilità globale.
In questo arcipelago di regole, obiettivi, strategie per miglioramenti a dir poco rivoluzionari, i produttori sia pure convinti della qualità dei prodotti della loro filiera hanno necessità di figure di riferimento come l’agronomo, il botanico, il tecnico agroalimentare, il manager responsabile dell’andamento dell’azienda che li supportino nella loro attività, per avere riscontri positivi del loro operato, con il rischio che particolari peculiarità dei prodotti non siano sufficientemente messe in luce.
Agribusiness e innovazione
L’agribusiness è un settore sempre in movimento che richiede innovazione con la presenza di nuove figure professionali, interdisciplinari, con competenze sempre aggiornate e la figura dello Strategic Agribusiness Consultant, professionista di ultima generazione è colui che, nella “summa” della sua scienza, fa proprie le sfide attualmente in atto nell’agroalimentare e suggerisce nuove soluzioni o prospettive diverse, cucendo quella frattura che da sempre esiste fra coltura e cultura.
Si tratta di una figura discreta che accompagna in ogni suo passo l’agricoltore per creare un futuro nuovo e diverso, senza negare le tradizioni, ma reinterpretandole in modo attivo, puntando alla qualità del prodotto, ma anche a quella del territorio e, soprattutto, a quella dei cicli della vita agricola.
Il principio alla base di questa nuova professione è la responsabilità che comporta nel guidare e consigliare i produttori agricoli e il loro staff e gestire insieme al meglio le risorse presenti in azienda, operando in maniera trasversale, senza appartenenza a nessun preciso settore o dimensione aziendale, tenendo sempre conto delle implicazioni che dovranno ricadere sul futuro.
L’agroalimentare è un settore che comporta criticità complesse ed estremamente diversificate: da un lato i rischi dovuti all’impatto con fenomeni climatici senza precedenti e dall’altro la necessità di trovare soluzioni in linea con le richieste del mondo che cambia con un incredibile velocità.
Un approccio olistico è la chiave di volta che lo Strategic Agribusiness Consultant deve utilizzare per penetrare e affrontare un settore così articolato, che tenga conto della complessità di questo panorama imprenditoriale.
La piramide
Daniele Savi, professionista esperto in questa branca dell’agroalimentare, nella quale opera con successo, in una sintesi grafica da lui creata, ben rappresenta gli step tipici per avvicinarsi all’obiettivo che deve essere conseguito.
Nella piramide stilizzata (rappresentata più sotto) si procede in linea verticale verso l’apice, partendo da una base molto ampia, sintetizzando nel termine “pianeta” quel lato dell’agricoltura più sensibile all’ambiente e al tessuto sociale, mettendo a fuoco la sostenibilità ecologica del sistema di produzione.
Fondamentale, perché il lavoro venga avviato e proceda è il lato umano, conoscere nel senso più ampio del termine la persona o le persone con le quali ci si deve rapportare. Si tratta di un momento molto delicato, face to face, dove si deve instaurare un rapporto di fiducia ed empatia, che vada oltre al mero riconoscimento delle sia pur valide qualità professionali, di piena collaborazione, alla pari, senza gerarchie prestabilite.
Il prodotto: autenticità, un prodotto per essere valido deve essere autentico e sincero, questa sinergia è la base dell’etica, deve vincere in purezza e valore aggiunto, al di fuori degli slogan stereotipati ai quali certa pubblicità ha “addomesticato” i consumatori.
Ricco di queste qualità, il prodotto deve trovare il suo posto in quel segmento di mercato dove avere il suo giusto rilievo ed è cruciale il confronto, la collaborazione tra il consulente e l’imprenditore per studiare le migliori strategie al fine di raggiungere e convincere la più ampia porzione di clientela, che con l’approvazione ne decreta il successo.
Il meritato successo passa anche per un equo profitto, stabilito in precedenza dal rapporto qualità/valore.
L’attività dello Strategic Agribusiness Consultant non è un’azione meramente commerciale e nemmeno di marketing, ma deve essere associata anche a una forma di maturazione, di miglioramento, di progresso interiore, che dovrà coinvolgere tutti gli attori dell’impresa, ognuno per le sue competenze, un nuovo patrimonio culturale e spirituale conquistato.
Con questo ultimo step, si è raggiunto il culmine, senza avere tralasciato nulla e il cerchio si chiude. Vale la pena, se tutto il percorso è stato compiuto al meglio, di citare il geografo francese Élisée Reclus che ha detto: “L’uomo è la natura che prende coscienza di se stessa”.