In occasione della giornata dell’alimentazione, vi ripropongo un brano di Lucio Cavazzoni dal suo libro “Cibo vero”, sempre valido e attuale.
“Cibo continua a essere una parola estranea nell’uso comune della gente del Mediterraneo. Chi lavora nel campo sente di produrre patate, cavoli, grano, olive, insalata, latte, galline. E chi invece si approvvigiona degli stessi prodotti in negozio o al supermercato, in via generale ma più intima – e un po’ più affettuosa – la chiama spesa. Oppure si parla di “mangiare”. Che non è la stessa cosa di assumere cibo (tutti noi ne parliamo spesso: mangiare, mangiare bene e insieme, piace molto).
La parola “cibo” rimanda a un insieme di concetti, a una complessità che parla del mondo.
Innanzitutto il cibo scarseggia per molti. Io non ho mai avuto fame. E questo limita di molto la mia visuale. Ma mio padre, ovvero la sua generazione che mi ha preceduto, sì.
I molti corpi che languono in sempre più numerose parti del nostro pianeta denunciano una cronica e mortale mancanza di cibo. Come quelli troppo grassi ne trasmettono un pessimo rapporto, solo capovolto. Siamo i più grandi consumatori di ogni tempo, ma siamo fortunati, in Occidente. I mutamenti climatici più devastanti, la cronica penuria d’acqua e di cibo colpiscono più a sud.
E non aiuta il pensiero che quando si forniscono aiuti alle terre e popolazioni dove il cibo – loro – non si produce più, lo stesso venga donato da organizzazioni umanitarie, spesso insufficientemente e spesso sotto forma di materie prime estranee alla loro cultura.
Mai come in questi ultimi decenni il cibo e la sua qualità, la sua origine e la sua diffusione, la sua accessibile coltivabilità, la sua compresenza e confidenza, la sua stretta vicinanza con chi lo utilizza diventano paradigma di un imperativo sociale indispensabile.
Il cibo deve essere compresente e confidente, deve offrire fiducia come prerequisito alla convivenza.
Il cibo deve provenire da un rapporto equo – non di rapina o di sottrazione – col pianeta, che vuol dire con la terra, con gli animali, con tutti gli altri.
L’equità è misurata dalla sostenibilità del nostro operare (in quanto produttori di cibo).
Il cibo deve nascere da una relazione di convivenza – e non di sfruttamento e impoverimento – con la terra e con allevamenti congrui e rispettosi degli animali.
Deve provenire da una manipolazione e trasformazione che preservino le naturali proprietà degli alimenti, da una vera attenzione a chi li utilizza, da un accesso alle terre coltivabili diffuso e democratico, praticabile da parte di chi ci si vuole impegnare.”
Cavazzoni, L. et al. (2015). Cibo vero: Storie di passione per la terra. Giunti