Graziella Fanti due treccine, bionde come il grano che porta il suo nome
Le origini del frumento Graziella Ra
Graziella Ra è il nome dato a un grano, di quelli a buona ragione definiti antichi, perché proviene dalla zona della Mezzaluna Fertile, culla della civiltà per la sua importanza storica, dal Neolitico fino all’Età del bronzo e del ferro.
Nelle valli fertili di questo esteso territorio vocato naturalmente all’agricoltura per le sue particolari condizioni climatiche e perché attraversato dal Nilo, dal Giordano, dal Tigri e dall’Eufrate, si sviluppò la prima forma di civiltà agricola.
Oggi, questa regione corrisponde all’Egitto, agli altopiani dell’Iran, alla Palestina, alla Siria e all’Iraq.
Un ignoto archeologo
Questa storia, molto commovente e avventurosa, ha la sua origine in Egitto e si conclude nelle ubertose e feconde campagne marchigiane.
I protagonisti sono dei semi di frumento, raccolti in una piramide da un ignoto archeologo, la cui identità è sempre rimasta sconosciuta.
È il 1974 e a Treviso si tiene una riunione di agricoltori, che coltivano le loro terre seguendo il metodo biologico-dinamico. Durante l’incontro uno dei partecipanti, che si qualifica come archeologo, consegna il sacchettino con i chicchi al capo giardiniere del comune di Reggio Emilia, Paride Allegri, al quale raccomanda di dare il nome “Graziella” al frumento che sarebbe stato raccolto. Paride, preso dall’emozione per il dono inaspettato, si dimentica di chiedere il nome all’uomo misterioso.
La semina
L’anno seguente Allegri semina i granelli con tutte le attenzioni possibili, mettendo un tutore a ogni chicco per proteggerlo e seguirne meglio la crescita. Provvede a dotare la serra di una protezione lungo tutto il suo perimetro, perché il grano, germogliando, non si ripieghi su se stesso. Ogni cosa è sotto stretto controllo, ma nonostante la sua continua sorveglianza, ha una sgradita sorpresa, in due giorni sono sparite tre spighe. Dopo un appostamento, effettuato di buon mattino, il giardiniere scopre che un topolino si introduce nella serra a rubare, fuggendo ogni volta con una spiga in bocca.
La distribuzione del grano
Trascorso qualche anno, grazie alle sue cure scrupolose e continue, Paride riesce a raccogliere qualche chilo di quel frumento dalle origini misteriose. La sua missione è compiuta, non gli resta che scegliere coltivatori capaci e di buona volontà che riprendano il lavoro dove lui l’ha lasciato.
La scelta cade su Ivo Totti, un pioniere del biologico che ha praticato e diffuso tra i primi l’agricoltura biologica in Italia e possiede un bagaglio di esperienza maturata in quarant’anni di lavoro in numerose aziende agricole, che coltivano con questo metodo, diffuse in tutta la penisola. A lui affida l’incarico di trovare chi lo coltiverà.
Totti, a sua volta, consegna il carico dell’antico grano egizio a Gino Girolomoni, suo “allievo” al quale aveva insegnato i principi fondanti dell’agricoltura biodinamica.
Gino è una figura particolare, che si fa notare subito per il nome che ha dato alla cooperativa agricola da lui fondata: Alce Nero, uno stregone pellerossa, convertitosi negli anni alla religione cristiana. Lo ritiene il simbolo dei contadini italiani e di quelli del mondo in generale, vinti e rinchiusi nelle riserve. È un convinto sostenitore del biodinamico, anche se coltiva prevalentemente attenendosi alle linee guida del biologico.
Ivo Totti lo conosce bene e sa di potersi fidare di lui data la sua esperienza, la volontà e la capacità di interpretare i misteri di questi semi venuti da lontano. Gli raccomanda, però, di mantenere la promessa fatta all’archeologo: “Se un giorno riuscirete a moltiplicare questo grano e lo metterete in coltivazione, dategli il nome di mia figlia Graziella, morta anzitempo”.
La lunga strada dei chicchi
Nel 1980 vengono raccolti dodici covoni, sei vengono dati a una cooperativa e sei posti al riparo sotto una tettoia aperta del Monastero di Montebello, dove ha sede l’attività agricola di Gino Girolomoni, con l’intenzione, durante l’inverno, di sgranare le spighe per separare i chicchi di grano da paglia e pula, ma i piccioni ne fanno presto piazza pulita e, seppure a malincuore, la coltivazione dei semi egizi viene abbandonata.
Dopo alcuni anni, Gino Girolomoni vuole riprovare e, rientrato in possesso di un sacco dei semi che aveva dato alla cooperativa, riprende a coltivarlo nell’anno 2000. Finalmente, comincia la moltiplicazione dei chicchi e al grano è giustamente dato il nome richiesto venticinque anni prima dall’uomo misterioso.
Al nome, però, si vuole aggiungere un cognome e non conoscendo quello vero, Gino e i suoi collaboratori pensano di registrarlo come Graziella Ankh, simbolo egizio della vita, ma poiché il marchio non è disponibile, scelgono il simbolo del sole, Ra e nel 2004 mettono in produzione paste dai nomi esotici, quali “Fili di papiro”, “Farfalle della regina del Nilo”, fatte con la farina ricavata dal grano Graziella Ra.
Il mistero svelato
Nel frattempo, l’uomo misterioso, l’ignoto archeologo comparso all’inizio di tutto questo succedersi di eventi non si è mai più fatto vivo né di persona né con uno scritto che desse qualche spiegazione, è completamente svanito nel nulla. Ma, colpo di scena, il 2004 destino vuole che sia anche l’anno della soluzione dell’enigma.
Girolomoni, un giorno, sfogliando il “Corriere della Sera”, per puro caso, legge queste poche righe. “Graziella, martire dimenticata. Dopo 60 anni, una cerimonia per lei. Uccisa a diciassette anni dai nazisti”.
Il servizio riporta un episodio avvenuto il 21 settembre 1944, a Le Piastre, un paesino a dieci chilometri da Pistoia. Non crede ai suoi occhi e, letteralmente, il cuore gli balza nel petto, perché è lampante che questa Graziella, vittima di una feroce esecuzione nazista, sia la figlia dell’archeologo che aveva consegnato i chicchi di grano egizio a Paride, nel 1974.
Gino nel 2006, in occasione della cerimonia di commemorazione di Graziella e degli altri martiri del nazismo, va a Le Piastre, perché vuole saperne di più. E la verità è amara e durissima.
Vita di Graziella “Ra”
Graziella è una ragazza che non ha mai avuto fortuna nella vita. Non ha mai conosciuto il padre, perché ancora prima che lei nascesse, era emigrato in Francia e per varie vicissitudini potrà rientrare in Italia solo nel dopoguerra.
Graziella conduce una vita molto appartata, perché a parte alcuni compagni di scuola, nel piccolo borgo dove abita a Le Piastre, in una località chiamata “Brocco”, nessuno vuole frequentare la figlia di una ragazza madre, della quale porta il cognome: Fanti.
Le due donne si erano ritirate a vivere lì, per avere un po’ di serenità, insieme al compagno della mamma. In seguito, tutti e tre avevano deciso di rifugiarsi in una capanna nei pressi del bosco per tenersi lontani dai tedeschi, quei pochi che si aggiravano ancora lungo la Linea Gotica creata dal Feldmaresciallo Kesserling, che aveva spezzato in due l’Italia per fermare l’avanzata degli Alleati, sbarcati in Sicilia, che risalivano da vincitori la penisola.
L’esecuzione infame
La mattina del 21 settembre 1944, Graziella, con il suo cesto di panni sporchi, stava andando come al solito al Fosso di Gambioni, a lavare. Si dirige tranquilla verso il ruscello dove, sulla riva, comincia a dividere la biancheria, la stende su una pietra che userà come lavatoio insieme a un paio di calzini del suo patrigno.
Due soldati tedeschi, armati, la vedono, ma soprattutto vedono i calzini da uomo e tirano velocemente le conclusioni. “Aiuta i partigiani, lava per loro o magari è anche lei una partigiana…” Graziella li vede, si avvicinano minacciosi… allora si rialza e scappa, scappa correndo lungo il sentierino, verso casa.
La sua amica del cuore, Miranda, poco distante che, insieme ad altri amici era andata a prendere l’acqua al fosso, sente delle grida “Mamma… mamma”. Tutti si nascondono terrorizzati tra i cespugli, ma il pensiero di Miranda corre subito a Graziella… improvvisamente arriva il suono secco degli spari e gli sghignazzi degli assassini che l’hanno barbaramente trucidata.
In punto di morte la povera ragazza ha invocato la sua mamma, ma il padre è per sempre rimasto mistero. Gino Girolomoni non si dà per vinto, vorrebbe scoprire il nome di questo padre ignoto e sapere “da dove viene questo grano che tra spighe e reste misura 30 centimetri di una forza primordiale”. (G. Girolomoni, Maccheroni acqua e farina, Milano, 2007 ed. Jaca Book)
Un grano che, dai risultati delle analisi fatti all’Università di Urbino, presenta una ricchezza straordinaria di potassio, magnesio, fosforo, selenio, vtamina E, B6, B12 PP.
Nessuno avrebbe mai potuto pensare che una simile tragedia, così dolorosa potesse essere legata a una manciata di chicchi di grano divenuti piante piene di vigore ed energia vitale.