“Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo” (Confucio)
Chi si trova sotto al naso un piatto di riso fumante che sprigiona un aroma quanto mai invitante, cucinato con tutti i crismi da uno chef di fama, come il famoso risotto alla milanese con zafferano e guarnito con foglia d’oro, creato dal compianto Gualtiero Marchesi oppure tenga tra le mani un’umile ciotola di riso pilaf, non credo sappia quali avventure singolari abbia vissuto questo cereale prima di raggiungere le nostre tavole.
Breve storia del riso
Dagli studi del giapponese Matsuo del 1952 emerge che il riso (Oryza Sativa) è originario dell’isola di Giava, dove è comparso circa 8000 anni fa. Ricerche archeologiche testimoniano che anche in Cina, un millennio più tardi, lo si consumava e che in certe aree solo le donne avessero il diritto di coltivarlo.
Il cammino di questo alimento verso l’occidente lungo il corso dei secoli è stato avvincente e avventuroso come un romanzo giallo. Si racconta, tra le tante vicende, che le diverse varietà di riso attualmente a nostra disposizione, abbiano avuto origine da un “furto” compiuto a fin di bene da un uomo di chiesa, il padre gesuita Calleri, missionario nelle Filippine che, nel 1839, al suo ritorno in Italia, portava con sé i semi di 43 diverse qualità di riso; fino ad allora, infatti, si coltivava solo il “nostrale”.
Per sottolinearne la preziosità e l’importanza che ha per molte popolazioni nel mondo, vorrei raccontare una piccola storia molto significativa che arriva dall’Indonesia.
In questo Paese il riso rappresenta la base dell’alimentazione e quindi se ne fa un consumo larghissimo e, pur essendo la patria di questo alimento, l’importazione è imponente, con ricadute economiche negative sul prodotto nazionale. Tutto ciò si verifica da quando si utilizzano i prodotti ibridi, frutto di sementi commerciali imposte dall’esterno, poco resistenti e incapaci di far fronte alle carestie dovute a eventi atmosferici negativi. L’omologazione dei semi è evidente e distrugge la biodiversità.
La ricerca di Helianti Hilman
In Indonesia, prima dell’adozione dei metodi di coltivazione intensiva, esistevano settemila varietà di riso anche rosse, nere, viola, gialle, sostituite poi a migliaia dal classico riso bianco, con grande danno alla produzione locale.
A salvare in parte questo inestimabile patrimonio naturale è stata la paziente opera di Helianti Hilman, fondatrice di Javara, una piattaforma web che si occupa di vendere on line e di mantenere alta l’attenzione sui prodotti tipici indonesiani, che altrimenti sparirebbero dal mercato, compreso il riso tradizionale, coltivato dalle piccole comunità contadine.
Insieme ai suoi collaboratori è riuscita a recuperare circa trecento antiche varietà, trenta delle quali commerciabili, molto resistenti e adatte a qualsiasi clima e che non necessitano di acqua per crescere. Durante la sua ricerca, Helianti ha incontrato vecchi agricoltori che, sfidando i divieti delle autorità che imponevano risi più “moderni” e “sponsorizzati” e rischiando il carcere, continuavano a coltivarne i semi in vaso per non disperderli.
Ha quindi raggiunto la zona ovest di Java, il Kasepuhan Ciptagelar, dove ha incontrato gli indigeni che da 650 anni coltivano sempre le stesse varietà di riso. I semi di queste piante sono considerati sacri, perché frutti della madre terra, da loro venerata come una dea e sono tabù, pertanto non possono essere commercializzati, ma solamente scambiati; non necessitano di concimi particolari e la loro coltivazione e crescita è guidata dal cammino degli astri. Sono uomini liberi, indipendenti da qualsiasi aiuto, perché con i loro saperi tramandati oralmente, non hanno mai fallito e sofferto la fame.
L’esempio del Sikkim
E con dinamiche simili, viene mantenuta la varietà delle specie tradizionali di riso nel Sikkim, uno stato indiano dell’India del Nord, situato tra Nepal e Bhutan. Si tratta di una regione molto montuosa, famosa per le sue orchidee e dotata di una ricca biodiversità faunistica e vegetale.
I contadini del luogo, delusi dalla qualità del riso introdotta dai ricercatori, giudicata poco gradevole, poiché insapore, hanno deciso di continuare la coltivazione delle loro varietà, operando un’attenta selezione tra le piante destinate al consumo e quelle i cui semi verranno piantati nella successiva stagione, in questo modo si può dire che ogni contadino possiede una sua specifica varietà, preservando un alto livello di biodiversità.