Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore. (Art. 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo).
E invece no!
Contadini spodestati
Ai contadini questo diritto viene costantemente negato nei fatti. Forse perché non sono pittori, scultori, compositori o poeti? Scienziati, filosofi, astronomi? O forse perché, se riuscissero nell’intento di proteggere i loro saperi, le loro capacità e di conseguenza la loro terra, come recita l’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, spezzerebbero il monopolio del mercato dei semi, compromettendo introiti miliardari dei grossi gruppi finanziari?
La grande bufala
In tutto il mondo, l’agricoltura è sempre stata tradizionale, locale, in armonia col clima e con la terra ma, da sola, si è dimostrata insufficiente a ridurre la fame nel mondo.
Dai primi anni del ’900, per risolvere o almeno tentare di risolvere questa grave situazione e ottenere raccolti abbondanti, nel mondo occidentale, sicuramente più ricco di mezzi, sono state coinvolte le industrie con l’obiettivo di ricercare tecnologie che potessero dare nuovi impulsi in campo agricolo.
La sperimentazione diventa un punto cardine, nei laboratori, ci si affida alla genetica, si creano ibridi da incroci, che danno vita a piante più vigorose di quelle che sono state utilizzate per il processo di ibridazione. Con questo metodo si ottengono delle varietà innovative di frumento, con le caratteristiche necessarie al soddisfacimento del fabbisogno granario: alta produttività, resistenza alle malattie, taglia ridotta e precocità di spigatura.
Per la coltivazione si utilizza una diversa tecnica colturale, basata sull’uso di agenti chimici per la concimazione e la difesa delle piante dalle malattie cui vanno soggette.
A questo punto, i semi sono passati dalle mani dei contadini ai laboratori delle industrie multinazionali, che operano secondo i loro obiettivi di mercato e agli agricoltori non resta che diventare acquirenti di semi, senza contare i disastri ambientali che queste pratiche comportano:
sterilità agronomica: determinata dall’ibridazione che, se consente abbondanti raccolti coi suoi semi per un anno, questi non sono più utilizzabili la stagione seguente
sterilità biologica dei semi: causata dalle biotecnologie che hanno prodotto semi incapaci di germinare
sterilità legale: dopo il secondo conflitto mondiale, la legislazione relativa al comparto dei semi ha determinato la separazione netta tra l’attività agricola e quella sementiera.
La legislazione
In Italia, enti governativi preposti danno la licenza sementiera e solo chi ne è in possesso, ha l’autorizzazione a commerciare sementi, purché soddisfino i criteri di distinzione, uniformità e stabilità e siano iscritte nel Registro Comune europeo e nei Registri nazionali. La tutela della proprietà intellettuale diventa un boomerang per i contadini, perché li espropria di ogni diritto sulle sementi.
L’Organizzazione mondiale del commercio, OMC in inglese WTO con l’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale o TRIPS firmato nel 1994, che è il più importante strumento multilaterale per la globalizzazione delle leggi sulla proprietà intellettuale, ha aperto la strada di fatto ai brevetti, dando vita alla figura del costitutore vegetale ovvero colui che ha creato o scoperto una nuova varietà vegetale, rispondente alle precise caratteristiche richieste dalla licenza.
Ed ecco la grande bufala prendere vita: i grossi gruppi finanziari e le multinazionali che quotidianamente prodicono e comprano brevetti, in questo modo hanno usurpato le competenze e l’esperienza sui saperi delle sementi, un tempo patrimonio unico dei contadini.
A seguito di questo primo step, questi gruppi hanno creato un monopolio, dichiarando i semi loro proprietà privata, escludendo così gli agricoltori da qualsiasi utilizzo dei loro semi.
Le multinazionali ovvero la prevaricazione
Nel 2018 è accaduto un ulteriore fatto che ha gravemente danneggiato l’agricoltura libera, sostenibile e alternativa, basata sulla circolarità di esperienze e modelli diversificati, a difesa della biodiversità propria di ogni singolo paese.
Le multinazionali, che già prosperavano e lucravano sulle spalle degli agricoltori, con l’annessione di Monsanto da parte di Bayer, DuPont con Dow Chemical sotto la nuova denominazione di Cotreva, si sono impossessate di fatto del mercato mondiale dei semi con un giro di affari di miliardi di dollari.
A completare il quadro, con la fusione di Syngenta con ChemChina, i tre gruppi hanno creato un oligopolio che attualmente controlla più del 60% del mercato complessivo dei semi, nonché il 70% di quello dei prodotti agrochimici e dei pesticidi. Commentare è superfluo, parlano i numeri, lo strapotere generato da queste operazioni con le sue nefaste conseguenze è costantemente evidenziato da tutte le associazioni rurali che difendono la libera circolazione dei semi (per approfondimenti, questo interessante articolo di Andrea Greco).
Un traguardo da evitare
I produttori agricoli mondiali sono tenuti per la gola da esigui gruppi multinazionali che fanno il bello e il cattivo tempo, imponendo regole di mercato a loro piacimento per mettersi in tasca sostanziosi utili, a cominciare dalla vendita delle sementi, dei mezzi tecnici necessari alla coltivazione e all’allevamento nelle aziende agricole, si può quindi concludere che due semi su tre sono in mano alle multinazionali, con grande rischio per la sovranità alimentare.
Questo, che si può definire senza mezzi termini un monopolio, costituisce la classifica forca che si traduce in termini di perdita di potere contrattuale. A queste operazioni di dilagante speculazione, va aggiunto l’acquisto e la commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari. I contadini, soprattutto nel Terzo Mondo sono costretti a svendere le loro terre che cadono in mano a investitori senza scrupoli che, modificandone la destinazione di origine, le utilizzano per trarne profitto, producendo, per esempio surrogati della benzina o del caucciù.
La globalizzazione e l’uniformità
Il fenomeno ha assunto ormai dimensioni globali e devastanti, coinvolge enormi superfici e, trasformando le terre coltivabili in fonte di lucrosi affari, mette a rischio la capacità della popolazione locale di potersi nutrire in modo sufficiente.
Ciò comporta gravi difficoltà economiche per gli agricoltori che ancora resistono, inibisce la libertà di scelta del consumatore, data l’alta concentrazione degli alimenti in mano a pochi potenti gruppi e ne abbassa anche il livello degli standard di sicurezza.
Le conseguenze indotte dal monopolio dei semi è frutto dell’agricoltura scientifico-industriale, principalmente basata sulla monocoltura e l’uniformità, che ha inferto un durissimo colpo alla biodiversità, riducendo le varietà genetiche delle colture più importanti come il riso che ormai discende da sole quattro varietà e la situazione non cambia per quel che riguarda il frumento, il mais o la soia.
Saperi e conoscenze dei contadini: un prezioso patrimonio
L’uomo, sin dagli albori della civiltà, senza alcuna conoscenza agricola o agronomica, ma osservando i processi naturali e le interazioni con gli organismi viventi, sperimenta e cerca di migliorare quanto l’ambiente gli offre per la sua sopravvivenza e quella della comunità alla quale appartiene.
Durante lo scorrere dei millenni, acquisisce così il sapere e l’esperienza, provando innesti e incroci rudimentali tra le differenti varietà vegetali a sua disposizione, affinando sempre più le sue capacità e scoprendo in questo modo la domesticazione delle specie selvatiche.
Dobbiamo tutto a questo al primo uomo e a tutti gli altri che, nel corso del tempo, hanno consegnato nelle mani dei loro “eredi”, che ne hanno fatto tesoro, il processo del miglioramento genetico, mischiando i semi e selezionando sul campo le piante più resilienti, con maggiore flessibilità al clima.
Ma tutte queste conoscenze, nate ai tempi del Neolitico, circa 10.000 anni fa e affinate col passare dei secoli, potrebbero venire, ai giorni nostri, a poco a poco cancellate, perché non riconosciute come utili dalle multinazionali. Nei loro centri costituiti a fini industriali, il destino delle sementi e dell’agricoltura è finito nelle mani di un manipolo di ricercatori, per ottenere il miglioramento genetico nello spazio chiuso di un laboratorio, tenendosi sempre più lontani dall’agricoltura dei campi.
Contadini alla riscossa
I contadini però, non si sono dati per vinti e hanno creato un movimento, costituito da gruppi di agricoltori che utilizzano il metodo biologico, biodinamico, naturale o, comunque estraneo alla filiera agro-industriale, per riappropriarsi del mercato dei semi, già loro di diritto.
E contro la speculazione agraria, già dal 2001, sono nate diverse associazioni e iniziative per rivalutare e tutelare l’agricoltura contadina ed esistono sia in Europa e sia in Italia numerose organizzazioni che si occupano delle sementi contadine.
Nel 2007, in Italia, nasce Rete Semi Rurali, che si costituisce come associazione nel 2011 e che ha come obiettivo di:
“sostenere la ricostituzione di sistemi sementieri basati sul ruolo attivo degli agricoltori nella produzione, nel miglioramento, nella circolazione e nello scambio delle sementi e di informare in modo capillare sui luoghi dove è possibile comprare o scambiare le sementi stesse”.
In questo modo, Rete Semi Rurali interpreta e fa suo l’articolo 9 del Trattato FAO sulle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura:
“Ricostituire e tutelare la biodiversità dei semi significa restituire agli agricoltori la centralità delle decisioni che li riguardano, a partire dal futuro delle loro sementi”.
I contadini devono essere in grado di produrre i propri semi, semi che siano in armonia con l’ambiente, che non richiedano l’uso di pesticidi, perché mescolandoli, possano diventare resistenti ai parassiti e alle malattie e si possano adattare ai cambiamenti climatici.
Agricoltori custodi
Il primo dicembre 2015, dopo un lungo iter parlamentare, è stata promulgata la legge n.194/2015 “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”.
È un traguardo di grande rilevanza per l’agricoltura italiana, perché viene riconosciuta a livello nazionale l’importanza della biodiversità e il ruolo degli agricoltori che si sono assunti il compito di custodi della biodiversità, che si impegnano nella conservazione, nell’ambito dell’azienda agricola, delle risorse genetiche di interesse alimentare e agrario locali, soggette a rischio di estinzione o di erosione genetica.
L’agricoltore custode è un lavoratore della terra che ha l’impegno e la responsabilità di ricercare e riproporre quanto la natura offriva in passato e che, con i metodi di coltivazione dell’agricoltura convenzionale, estrattiva e di profitto, è andato perduto.
La sua principale funzione consiste nel riprodurre varietà locali e costituire filiere innovative, recuperando le proprie tradizioni, assumendo così il ruolo di difensore della biodiversità, del paesaggio rurale, dell’ambiente e della fertilità del suolo.
Dobbiamo riportare i contadini a coltivare le varietà per la biodiversità, per loro stessi, per la sicurezza alimentare, per il loro futuro. (Vandana Shiva)